I Fratelli musulmani travolti da un'improvvisa odernità
Mubarak ha vinto, naturalmente, le elezioni farsa, ma un vento di democratizzazione si è levato sull'Egitto, col moltiplicarsi di manifestazioni che chiedono riforme. Questo paese segnato dalle disuguaglianze tenta di scuotersi di dosso la cappa che ha fatto della vita politica un teatro di cartapesta. L'islam serve da stendardo a numerosi attori, ma le sue diverse interpretazioni suscitano molti dibattiti, anche in seno alla potente organizzazione dei Fratelli musulmani.
Il 7 settembre 2005, grazie all'emendamento dell'articolo 76 della Costituzione, si sono tenute in Egitto le prime elezioni presidenziali con più candidati: cambia così il paesaggio politico egiziano. Secondo le previsioni di vari osservatori, i Fratelli musulmani avrebbero beneficiato di questa congiuntura, approfittando di un più ampio margine di libertà. Invece è accaduto il contrario: il movimento sta attraversando una crisi senza precedenti.
Scarcerati all'inizio degli anni '70, i Fratelli musulmani ritennero che l'arena politica, contrassegnata da un multipartitismo sotto tutela dello stato, non fosse compatibile con il loro grande disegno: la fondazione di uno stato islamico. Questo convincimento era alimentato anche dalla diffidenza verso il regime politico al potere, e dalla certezza dell'inevitabilità di un confronto- scontro con il governo.
Giunsero così alla conclusione che l'organizzazione da costruire per conseguire i loro obiettivi dovesse sfuggire allo stato e ai suoi apparati di sicurezza. Ritenevano di poter rispondere in questo modo alle circostanze, anche eccezionali, cui avrebbero dovuto far fronte; tanto più che il presidente Anuar al-Sadat (in carica dal 1973 al 1981) non aveva mostrato alcuna intenzione di regolarizzare la situazione dell'organizzazione, vietata fin dal 1954, limitandosi a tollerarne le attività.
Questa strategia di ricostruzione delle strutture della confraternita è stata portata avanti da una generazione cresciuta all'interno dell'Organizzazione speciale, suo braccio paramilitare prima della rivoluzione del 1952 (che portò al potere gli ufficiali liberi sotto la guida di Gamal Abdel Nasser), con una lunga esperienza di clandestinità.
Già alla fine degli anni '70 la confraternita aveva ottenuto un successo impressionante: era arrivata a occupare il primo posto tra i movimenti religiosi del paese, dopo aver assorbito i gruppi rivali. In particolare, gli emiri della Gamaa Al-Islamiya, molto influente nelle università, avevano deciso di aderire ai Fratelli musulmani, che erano allora in pieno rinnovamento.
Costruzione di uno stato parallelo Forti dei successi ottenuti, i dirigenti dell'organizzazione perseverarono su questa via. Oltre tutto, la situazione del movimento - vietato ma tollerato - gli consentiva di sottrarsi a tutta una serie di restrizioni giuridiche e alle prescrizioni di legge (trasparenza, un programma preciso ecc.) Questa linea trovò conferma nel 1981, con l'avvento al potere di Hosni Mubarak, che all'inizio del suo mandato ricevette al palazzo presidenziale tutti i dirigenti dei movimenti d'opposizione, con la sola eccezione dei Fratelli musulmani. L'esclusione, così ribadita dal successore di Sadat, confermò ai leader della confraternita che il loro riconoscimento era di là da venire; e deluse le aspirazioni della nuova generazione di Fratelli, più interessata a rientrare nella legalità e a rompere con la strategia piramidale instaurata all'inizio degli anni 1970. Nei primi anni '80 la confraternita trova un suo posto nell'arena politica, ma non si piega alle norme di legge, che prescrivono un'autorizzazione amministrativa per poter creare un partito. E quindi accetta di coordinarsi con i partiti Al-Wafd (1984), Al-'Amal e Al-Ahrar (1987), soprattutto per far eleggere alcuni dei suoi membri; ma non punta a lungo termine su queste formazioni. Nel seno stesso del movimento cresce frattanto la volontà di creare un partito; ma l'«ufficio guida», l'organo supremo del movimento, si oppone a quest'idea; ed è aiutata dallo stesso regime, che gliene fornisce gli argomenti rifiutando di riconoscere un partito legato ai Fratelli. Da qui l'uscita di Abu Al Ela Madi, promotore della creazione di un nuovo partito, Al Wasat («il centro»), che aspetta ancora di essere riconosciuto nonostante i suoi ripetuti tentativi presso le autorità (1). I Fratelli musulmani fanno dunque passare in secondo piano l'utopia di uno Stato musulmano - peraltro mai chiaramente definito - per concentrarsi sulla costruzione di una grande formazione extra-legale.
L'organizzazione riesce a infiltrarsi nelle istituzioni dello stato, dell'amministrazione, dei sindacati e della società civile, ma non nell'esercito, nella polizia e nei cosiddetti organismi di sovranità (presidenza, presidenza del consiglio dei ministri, dicastero degli affari esteri): il direttivo della confraternita non ha mai osato oltrepassare questa linea rossa. I dirigenti più dotati, entrati a far parte dell'organizzazione negli anni '70- '80, elaborano progetto di tamkin («rendere attuabile»), in base al quale l'organizzazione viene ristrutturata e modernizzata. Questo testo, mai pubblicato, definisce le varie fasi di un processo che avrebbe dovuto condurre il movimento ad assicurarsi progressivamente il controllo dello Stato, e a impossessarsi del potere con mezzi pacifici. Il documento, scoperto nel 1992, ha permesso al regime di rendersi pienamente conto della potenza del movimento dei Fratelli musulmani, che avevano assunto le caratteristiche di un vero e proprio stato parallelo, ma senza i difetti di quello ufficiale (invecchiamento dei quadri, corruzione ecc.) Il movimento contava su un numero di iscritti valutato tra 100.000 e 500.000, ripartiti nelle ousar (cellule di base), che pagavano regolarmente le loro quote, più numerosi simpatizzanti. Se questi dati sono sempre rimasti imprecisi, è stato ovviamente a causa delle condizioni di semi- clandestinità, della difficoltà di censire i simpatizzanti ecc. Peraltro, i leader del movimento consideravano come un tradimento qualunque tentativo di fare chiarezza a questo proposito. Dall'avvento al potere di Mubarak, l'Egitto è governato in base a un'equazione: a contropartita della liberalizzazione economica, il governo conserva il monopolio della vita politica. Grazie a un'apposita legge, le autorità hanno assunto un controllo totale sui partiti.
In conseguenza di questa situazione, prima degli emendamenti alla Costituzione la vita politica agonizzava. Ma anche l'esperienza del multipartitismo degli anni '70 era stata deludente. Tutto questo sembra dar ragione alla scelta dei Fratelli musulmani: quella di portare avanti il loro attivismo ai margini della legge. Ma in seguito a varie pressioni interne ed esterne, lo scenario politico, congelato da decenni, sta incominciando ad animarsi. Con l'emendamento dell'articolo 76 della Costituzione e l'accettazione di candidature molteplici per le elezioni presidenziali, il potere ha fatto un primo passo indietro. L'ora della verità stava per suonare, e tutti gli sguardi erano rivolti verso la confraternita. Sembrava che la primavera dei Fratelli musulmani fosse alle porte...
Ma le illusioni hanno avuto vita breve. Mentre il 12 dicembre 2004 il movimento Kefaya («Basta!») organizzava la prima manifestazione, prendendo così le redini del fronte contrario al presidente Mubarak, ai Fratelli sono occorsi più di tre mesi per valutare la nuova situazione e decidere di scendere a loro volta in piazza. Per la confraternita è stato un forte smacco dover rivaleggiare con il «gruppuscolo» Kefaya; ma i suoi leader pensavano di poter tornare facilmente alla testa del movimento, con un'organizzazione di cui ogni singola sezione aveva più aderenti di Kefaya. Ma il 6 maggio 2005 il portavoce dei Fratelli musulmani, Issam Al-Ariane, e vari altri dirigenti sono prelevati dalle loro abitazioni e arrestati.
Ci si rende conto allora che il peso della confraternita può anche giocare a suo danno. Dopo l'arresto di più di 2000 dei suoi aderenti, l'organizzazione si vede schiacciata dall'onere eccessivo degli aiuti da prestare ai detenuti e alle loro famiglie. E smette di manifestare...
D'altra parte, si può constatare che questa battuta d'arresto è legata a considerazioni tattiche, assai più che alla volontà di guidare il popolo egiziano sulla via della libertà.
Ma le difficoltà del movimento non vanno ascritte unicamente alla repressione. C'è un fatto che sfugge non solo ai leader dei Fratelli musulmani, ma anche ai loro detrattori: dagli anni '70 a oggi, il paesaggio islamico ha conosciuto un vero e proprio sconvolgimento.
Inizialmente, i Fratelli musulmani erano gli esponenti ufficiali dell'ideologia islamista, focalizzata intorno alla rivendicazione di uno stato islamico: un progetto in grado di «coprire» a un tempo le rivendicazioni degli strati più poveri, che vedevano in esso un modo per porre fine all'oppressione sociale, e le aspirazioni al «risanamento» dei costumi, a una maggiore mobilità sociale e a una più ampia partecipazione politica delle classi medie e borghesi.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, e i Fratelli musulmani non sono più quelli di ieri. L'ingresso nell'arena politica li ha costretti ad abbandonare il grande mito dello stato islamico e tutti i riferimenti connessi, tra cui in particolare il ripristino del califfato. Il loro programma presenta ben poche differenze rispetto a quelli degli altri partiti schierati in favore del liberismo economico.
I Fratelli assicurano la loro totale adesione a una democrazia senza paludamenti islamici, e non menzionano neppure il concetto di shura (consultazione); accettano l'alternanza del verdetto popolare, anche se non conforme alla sharia; insistono sulla nozione di cittadinanza e di uguaglianza tra tutti i cittadini, senza più distinzione tra musulmani e copti, e ammettono che questi ultimi debbano avere accesso a tutte le funzioni (2), non esclusa la creazione di partiti copti o comunisti (3).
Non si può dire che questo discorso sia comune a tutti i membri della confraternita. A portarlo avanti sono essenzialmente i dirigenti delle nuove generazioni, e in particolare Abdel Mon'im Abul Futuh, che ha conquistato ormai nella confraternita una posizione dominante senza oppositori di rilievo. (4).
D'altra parte, i Fratelli musulmani hanno subito l'impatto dei radicali cambiamenti subiti dall'Egitto sul piano economico. La liberalizzazione, o infitah (letteralmente: apertura) ha sacrificato i ceti più poveri.
Ora, la confraternita, che in passato era riuscita ad attirare a sé i rappresentanti di tutti gli strati della popolazione, ha dato il suo sostegno a questa politica liberista, accettando persino che venisse rimessa in discussione la riforma agraria decisa dal regime nel 1997. Col passare del tempo, il reclutamento si è concentrato sui ceti medi, sensibili alle nuove forme di religiosità. Sono sempre più numerosi i quadri e i militanti della confraternita che provengono dalla media borghesia. L'organizzazione dei Fratelli musulmani riserva oggi un ruolo crescente a esponenti del mondo degli affari, e ha finito per evolvere verso la destra liberista. I poveri non sono fratelli Al tempo stesso, le fasce più povere ed emarginate sono estromesse dall'organizzazione, e poi anche dal suo programma e dai suoi slogan.
La confraternita ha cessato di rappresentarle proprio nel momento in cui subivano più pesantemente le conseguenze delle trasformazioni economiche. «Nessun membro dei Fratelli musulmani soffre la fame», ha dichiarato un ex dirigente dell'organizzazione. Ma in Egitto l'indice di povertà, ufficialmente del 17%, secondo l'opposizione ha raggiunto il 40%. La confraternita dunque non ha il sostegno di queste masse; e la sua assenza dalle manifestazioni della scorsa primavera è la riprova del divorzio tra i Fratelli musulmani e le fasce popolari.
Secondo alcuni osservatori l'organizzazione ha anzi frenato deliberatamente la mobilitazione, e ha avviato colloqui segreti con il presidente Mubarak per evitare ogni rischio di straripamenti.
Per converso, la Gamaa Islamiya, che aveva rotto i ponti con i Fratelli, e negli anni 1980 si era impegnata direttamente in uno scontro armato con il potere, ha dato prova della sua capacità di rappresentare gli strati più poveri della popolazione. Il pensatore e politico musulmano Adel Hussein, consapevole dei problemi di classe grazie anche alla sua passata esperienza in seno alle organizzazioni marxiste, aveva colto il senso di questi sviluppi, e cercato di attirare nel suo partito, Al Amal (Il Lavoro), i quadri islamisti delle periferie urbane e degli ambienti più emarginati, a condizione che abbandonassero la lotta armata. Ma i disaccordi con la Gamaa e la decisione delle autorità di sospendere il partito hanno posto fine a questo tentativo di dare una rappresentanza alle fasce popolari - tanto più che il regime ha fatto arrestare da 20.000 a 30.000 membri della Gamaa.
D'altra parte, i Fratelli non sono più i soli rappresentanti della borghesia religiosa. L'offerta in questo campo non è mai stata tanto ricca, grazie anche a nuovi predicatori del tipo di Amr Khaled (5) - ma sta prendendo le distanze dal terreno politico. Se poi qualche giovane credente vuole impegnarsi in politica, può farlo in seno a varie formazioni meno esigenti e pericolose dei Fratelli musulmani.
Nel momento stesso in cui stava perdendo l'esclusiva della rappresentanza dell'islam politico, la confraternita è divenuta un conglomerato di forze, molto diverso dall'immagine monolitica che ha accreditato.
Tra i suoi aderenti si trovano ad esempio studenti dell'università al-Azhari, salafisti, ex jihadisti e quadri con un passato politico sotto altre bandiere; ma anche molti contadini e operai del tutto privi di formazione politica, capaci solo di applicare alla lettera gli ordini dei superiori.
La partecipazione alle riunioni sta calando, e secondo le valutazioni è ormai ridotta ormai al 40%; il reclutamento ristagna, il movimento invecchia, la disciplina si va perdendo. I motivi dell'adesione non sono più gli stessi: ci si iscrive alla confraternita per trarre qualche vantaggio dai contatti, per agevolare talune pratiche quotidiane, o magari per dare impulso ai propri affari. Da qui la difficoltà per i dirigenti del movimento di trovare un accordo sul futuro dell'organizzazione, o anche, più semplicemente, sulle elezioni presidenziali del 7 settembre.
Dopo lunghe esitazioni, la confraternita ha chiesto ai suoi aderenti di votare, senza però designare il candidato. I Fratelli musulmani sono entrati in una nuova era. Hanno sepolto i loro passati progetti, ma sembrano incapaci di formularne di nuovi.
L'immagine di una formazione che fin dalla sua creazione ha saputo e potuto rivaleggiare con il potere e crearsi una base popolare appartiene ormai al passato. Se è vero che il regime è entrato in una fase di incertezza, lo stesso vale per i Fratelli musulmani.
------------------
note:
.(1) Leggere Wendy Kristianasen, «La modernità divide gli islamisti», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2000.
(2) Mohamed Habib, prima vice-guida dei Fratelli, ha annunciato l'intenzione della confraternita di elaborare un documento, di prossima pubblicazione, che riconoscerà ai Copti e a tutti gli «altri» egiziani il diritto alla cittadinanza piena.
(3) Mohamed Mehdi Akef, guida dei Fratelli musulmani, si è espresso recentemente in senso favorevole alla creazione di un partito copto.
(4) Si veda il libro di Abdel Mon'im Abul Futuh, Riformatori, non spreconi (in arabo), Il Cairo, agosto 2005, e l'incluso documento intitolato «La nozione islamica di cambiamento globale».
(5) Leggere l'articolo di Hussam Tammam e Patrick Haenni, «L'Islam branché de la bourgeoisie égyptienne», Le Monde diplomatique, settembre 2003.
---------------------------------------------------------------------------
Le Monde Diplomatique
Settembre del 2005